27 Ago Si dice arancino o arancina?
Sono tantissime le dicotomie che hanno spaccato e continuano a spaccare il mondo: Beatles o Rolling Stones, ad esempio.
Ma ce n’è una che spezza in due la sicilia da secoli e che riguarda uno dei piatti più tipici della cucina di questa regione: si dice “arancino” o “arancina”?
E’ una vera e propria battaglia che affonda le proprie origini molto lontano e che cerca di giustificare l’una o l’altra denominazione in base alla consultazione di documenti storici. Persino la prestigiosa Accademia della Crusca si è pronunciata in merito per provare a mettere la parola fine sulla questione.
Dal sito della Crusca si legge:
“Le origini di questa pietanza si vorrebbero far risalire al tempo della dominazione araba in Sicilia, che durò dal IX all’XI secolo. Gli arabi avevano l’abitudine di appallottolare un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano, per poi condirlo con la carne di agnello prima di mangiarlo; da qui la denominazione metaforica: una pallina di riso con la forma di una piccola arancia (< ar. nāranj). Come si legge nel Liber de ferculis di Giambonino da Cremona (curato da Anna Martellotti, 2001), tutte le polpette tondeggianti nel mondo arabo prendevano il nome dalla frutta a cui potevano essere assimilate per forma e dimensioni (arance ma anche albicocche, datteri, nocciole); il paragone con le arance era naturale in Sicilia dato che l’isola ne è sempre stata ricca.
In realtà però non ci sono tracce di questa preparazione nella letteratura, nelle cronache, nei diari, nei dizionari, nei testi etnografici, nei ricettari e così via prima della seconda metà del XIX secolo: essa dunque compare in età assai più recente di quanto si potrebbe pensare. Per di più, si dovrà osservare che nelDizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi (1857), il primo dizionario siciliano che registra la forma arancinu, la definizione descrive “una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”: dolce, non salata; ma i passaggi dolce/salato non sono infrequenti nelle varie fasi della gastronomia, se persino lapizza alla napoletana è ancora per la Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (ediz. 1911) un dolce fatto di pastafrolla e crema (ricetta 609). Nel Nuovo vocabolario siciliano-italiano del Traina (1868), infatti, dalla voce arancinu si rinvia a crucchè: “specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro”, da confrontare con la ricetta 199 (Crocchette di riso composte) della Scienza in cucina, che indica una preparazione certamente salata. Nei repertori prima citati non sono tuttavia mai menzionati né la carne né il pomodoro, e in effetti è difficile dire quando questi due ingredienti siano entrati nella ricetta: del pomodoro, tra l’altro, si sa che cominciò a essere coltivato nel Sud della penisola solo all’inizio dell’Ottocento. Alla luce di questi fatti il legame tra il supplì siciliano e la tradizione araba non sembra più così certo, mentre si potrebbe pensare che si tratti di un piatto nato nella seconda metà del XIX secolo come dolce di riso, ma che sia stato trasformato quasi subito in una specialità salata.
Inoltre il nome del manicaretto – secondo l’ipotesi suggerita da Salvatore C. Trovato in A proposito di arancino/arancina (“Archivio Storico della Sicilia Centro Meridionale”, II, 2016) – potrebbe derivare non solo dalla forma dell’arancia, ma anche dal suo colore: in siciliano infatti le parole parole che indicano nomi di colori si formano da una base nominale più il suffisso –inu, quindi arancinu ‘di colore arancio’, come curaḍḍinu‘del colore del corallo’ o frumintinu ‘che ha il colore del frumento’).”
Sembrerebbe ancora un buco nell’acqua a questo punto e questa annosa faida probabilmente non avrà mai una conclusione. Ma su una cosa la Sicilia Occidentale e quella Orientale sono d’accordo: la bontà di questo prodotto unico e inimitabile che, sia maschio o sia femmina, fa innamorare le nostre papille gustative.